Maggio 2015
“SPIGHE SULLA PELLE. DEMETRA”.
TESTO CRITICO DI VALERIA TASSINARI (DIRETTRICE DEL MUSEO MAGI '900).
Il mito tatuato sulla spalla e la seduzione del mondo negli occhi, la giovane Demetra che Antonio Marino ha scelto di evocare in questa mostra - davvero sospesa tra pane e stelle - è una creatura nuova, che sfugge alla storia e entra nel presente, con lo sguardo assorto e la leggerezza sfiorata di una madre precoce, distratta dalle seduzioni del mondo. Prendendo spunto dal tema della Notte dei Musei 2015, l'autore ha scelto di richiamarsi al mito della Grande Madre, poi trasformata nel mondo greco-romano nella florida figura della divinità protettrice dei raccolti con i nomi di Demetra-Cerere, per reinterpretarne l'icona in una chiave figurativa contemporanea e vagamente glamour-pop, con quell'appeal un po' pubblicitario e un po' televisivo delle ragazze d'oggi. Ma cosa lega queste icone di donne poco più che ragazze all'imponente potenza mitica della grande Demetra che, per aver perso la bella figlia fanciulla (rapita in un raptus erotico dal signore delle tenebre) aveva vagato a lungo disperata, dimenticando di far germogliare la terra? Cosa resta in loro della terribilità di quella madre che, irriducibile nel lutto, pianse la lontananza della sua Kore, fino ottenerne la restituzione alla luce del sole, almeno per due stagioni all'anno?Cosa ci raccontano, queste nuove icone in posa fotografica, dell’ancestrale capacità di danzare sulla terra per risvegliare l'onnipotenza, nutriente e vitalistica, del mondo sotterraneo? Solo un gioco sottile, dice l'artista, di riferimenti simbolici, un omaggio a una favola antica, e il desiderio di offrirla alle giovani che ora inseguono la libertà per crescere altrove, come il lievito di cui, in uno di questi dipinti, la madre conserva solo l'incarto. Ma, forse, qui si nasconde qualcosa anche di più, un omaggio più critico e profondo all’idea di indipendenza, che proprio Demetra aveva riconosciuto all'uomo, donandogli la capacità di coltivarsi il cibo. Fu lei, infatti, che, dopo averlo temporaneamente amato come figlio sostitutivo, nel lasciarlo per tornare alla sua esistenza divina gli donò un carro tirato da draghi alati, con cui potesse percorrere il mondo seminando il grano per il sostentamento dei suoi simili. Iniziava così, all'alba del mito del giovane principe Trittolemo, la storia chi si alimenta di un pane che lui stesso produce: il destino dell'uomo libero, al quale il controllo del ciclo del grano si impone come misura ritmica del tempo, ma anche come pesante responsabilità di nutrire il pianeta. Intanto, mentre su questa terra senza miti e senza olimpica perfezione, ci chiediamo come fare a custodire quel dono immenso, ci piace comunque osservare la bellezza imperfetta e vera di una Demetra distratta che, per farsi più carina, si intreccia nei capelli una piccola spiga.
Valeria Tassinari
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prima pagina del racconto scritto da Antonio Marino intitolato Naufragio all'alba. Un modo per entrare dentro l'opera "La zattera della Medusa" |
ANTONIO MARINO
Antonio Marino, quando il fare arte intreccia la passione dell’insegnare a saper vedere.

Antonio Marino nasce nel 1974 nella terra assolata e intrisa di poesia di una Reggio Calabria che accoglierà i suoi primi movimenti tra i fermenti dell’arte. Dopo il Liceo Artistico e l’Accademia di Belle Arti, dove si iscrive nel 1992, il giovane artista insegue i nuovi appassionati venti creativi che sussurrano futuri successi tuffandosi nell’incandescente fucina creativa di Bologna, matrice di sogni e ideali, amante ricca di suggestioni e inevitabili passioni.
Antonio completerà proprio all’ombra dei portici bolognesi il ciclo di studi, mentre Bologna dispiega il suo cuore generoso lasciando che il destino faccia capolino con una donna che oggi è diventata moglie e silenziosa ispiratrice di una vita all’insegna dell’arte.
Antonio Marino oggi lavora come artista e insegnante: dal 2009 collabora con la Galleria Bongiovanni di Bologna e, sulle orme di un sogno che risale all’infanzia, ogni giorno cede alla passione dell’insegnamento percorrendo aule dove insegna a giovani menti la meravigliosa capacità di un’arte che prima di tutto è sentimento da percepire, sguardo da allenare, passione da coltivare a piccoli passi.
Tra gli eventi nazionali è possibile segnalare le sue partecipazioni ad ARTE FIERA 2010 e 2011, alle ultime due edizioni della Giornata del Contemporaneo, organizzata dall’Associazione Musei d’Arte Contemporanea Italiani nonché presso la Fiera Internazionale della Lettura e Letteratura per ragazzi 2010 con la personale Scriptorium.
Le tele di Marino raccontano un intreccio che vive di ombre dorate e volti che scrutano l’osservatore, intensi e travolgenti: un’intrigante rebus di storie che si materializzano lasciando che la lettura si compia, con lentezza e meditazione. ‘Nei miei quadri vi sono alcuni elementi che con il tempo sono divenuti imprescindibili (..) Personaggi che mi piace pensare come attori teatrali che rivolgono uno sguardo alla storia (intesa soprattutto come ricchezza iconografica della storia dell’arte) ma con una gran voglia di raccontare il presente. Una serie di lavori li ho dedicati all’identità, dove si vedono uomini lottare con un drappo rosso simbolo di una seconda pelle o di una maschera che spesso gli uomini si costruiscono per essere accettati dal prossimo e che rischia di generare identità formattate, resettando l’individualità. Il copione non è interpretato solo da gesti, posture, mimiche facciali e dalla composizione strutturale del lavoro nel suo complesso: le parole sono sovente rintracciabili tra le trame della tela, rivestite dagli strati di pittura o dalla foglia d’oro’, racconta l’artista.
Come si coniugano il fare arte e la professione dell’insegnante?
Per tanto tempo ho vissuto esclusivamente dipingendo, tuttavia anche il fare arte può essere un’attività decisamente stressante: i compromessi diventano materia inevitabile, invece da l momento in cui ho avuto la possibilità di insegnare e lavorare con ragazzi oltre a uno stipendio fisso mi è stato possibile fare progetti ulteriori, godere di una maggior libertà oltre che di una fertile tensione creativa.
Né sposarsi, né fare un altro lavoro’ usava ripeteva un gallerista di Bologna, ma il problema è che se devi farti tramite del mondo diventa necessario vivere l’esistenza, in ogni suo momento e ruolo, altrimenti sarei simile a uno scrittore che parla della vita senza viverla. La quotidianità è fondamentale: se non la vivi come puoi raccontarla? Credo sia importante mettersi in gioco, svegliarsi presto, fare la spesa.
Alle scuole elementari avevo una maestra (a cui non ero particolarmente simpatico forse per i miei momenti di distrazione con il disegno) che un giorno assegnò il seguente compito alla classe: cosa farai da grande? Sapevo che da grande avrei fatto l’artista e l’insegnante di arte! Da quel momento il mio percorso di studi fu improntato al raggiungimento di quegli obiettivi. Certamente devo ammettere che tutto avrei immaginato tranne che le fantasticherie dello scolaro di ieri su un futuro troppo lontano potessero rispecchiarsi così fedelmente nel mio presente.
Bologna e Reggio Calabria: cosa ti lega a queste due realtà?
Mi trovo spesso a riflettere su quel cordone ombelicale lungo 1200 chilometri che mi tiene legato a due diverse città: Reggio Calabria e Bologna, diciotto anni passati nella prima, diciotto nella seconda. Entrambe rappresentano due luoghi che amo molto e a cui devo la mia formazione sia umana, sia professionale. Reggio Calabria è la città degli affetti familiari, oltre ad essere la città che ha segnato la mia prima formazione, il modo di rapportarmi agli altri e il terreno, talvolta accidentato, dove è nato il mio amore per l’arte, la mia prima collaborazione con una galleria d’arte. Bologna invece con le sue secolari tradizioni culturali ha saputo conquistarmi: è la città degli anni della mia vita di studente-artista fuori sede, la città dove ho cominciato a lavorare come insegnante, dove ho incontrato mia moglie e dove da qualche anno è iniziata la collaborazione con la Galleria Bongiovanni, con la quale si è creata una sintonia totale.
Nelle tue tele ho notato la presenza della lingua Braille: come è avvenuto questo incontro?
La scrittura interagisce con l’immagine. Ho scelto il Braille per vari interessi, innanzitutto l’arte in quanto enigma, in virtù di un’arte facile alla comprensione ma non scontata. Anni fa vedevo gente che durante manifestazioni come la Biennale dedicava non oltre due minuti a ciascuna opera: una fruizione troppo veloce, a una vetrina si fanno più domande. Per questo desideravo un senso che promanasse, che trapelasse intrecciando arte e scrittura ma senza che una svelasse i percorsi dell’altra. La scrittura non spiega mai il significato del quadro ma fa parte del significato stesso. Pittura e letteratura si contaminano reciprocamente, avvalorando o sovvertendo significati apparentemente di facile interpretazione.
In Italia, rispetto ad realtà europee, non sembra essere granché consolidata l’abitudine di portare i bambini al museo: cosa ne pensi?
Noi possediamo circa il 60% delle opere al mondo ed è da sottolineare che questa statistica risale a prima delle vicende di guerra connesse all’Iraq. Abbiamo un patrimonio inestimabile, eppure i nostri musei sono vuoti, una realtà certamente desolante.
Che cosa vorresti avessero imparato i ragazzi una volta riemersi dalle tue lezioni?
Non sono un fissato del contenuto: seguire il programma non mi basta. A me interessa trasmettere il seme della curiosità, della passione per l’arte. I ragazzi non entrano praticamente mai di loro spontanea volontà in una galleria d’arte moderna, per questo mi piace organizzare dei pomeriggi all’insegna di una mostra da visitare tutti insieme, scambiandosi opinioni e idee. Molti ragazzi hanno genitori che producono opere d’arte, per questo chiedo loro di portare i manufatti in classe: trascorriamo una lezione commentandone lo stile e i materiali. Questo vuole essere un modo per farli innamorare della materia d’arte: in seguito se ne approprieranno e non con il tuo standard, bensì il loro. Con freschezza, con l’originalità che è propria dei ragazzi.
Quale destino credi incontrerà l’arte?
L’arte seguirà il destino della società, come è sempre stato. Oggi viviamo in una società che si confronta molto con il passato, è amante del presente e sembra essere poco interessata al futuro. Oggi i performers danno vita a un’arte fortemente imperniata su un’emozione, che tuttavia finisce velocemente, senza lasciare traccia. Lo stesso nome Arte Contemporanea prefigura il destino di un fare arte che non cita ciò che sarà domani a differenza di fenomeni artistici come le Avanguardie, la cui nomenclatura faceva riferimento alla prima linea dei militari, in avanzata verso nuovi territori, denunciando la strenua voglia di proiettarsi nel futuro.
Arte e tecnologia: come pensi si sviluppi questo rapporto?
La tecnologia oggi non può non toccare l’arte. Pittori, scrittori, musicisti: la tecnologia entra in ogni linguaggio. In certi casi rischia di risultare una materia fredda, ma difficilmente non verrà utilizzata per produrre lavori. La questione importante è che non sostituisca il rapporto tra artista e opera: devo confessare che il rapporto tra ciò che si vede e chi l’ha realizzato costituisce la reale poesia dell’arte ed è ciò che ancora oggi mi emoziona e mi arricchisce.
Un sogno che non hai ancora realizzato e che ti piacerebbe costruire entro i prossimi cinque anni.
Nonostante le tante polemiche che ad ogni edizione la precedono, la accompagnano e la seguono, la Biennale di Venezia per un giovane artista rimane sempre un traguardo affascinante cui sperare di essere invitato e non come spettatore…
Se tu avessi 20 anni faresti la valigia verso...?
Intanto nella valigia vorrei mettere tutte le esperienze umane e lavorative maturate fino ad oggi, poi aggiungerei un cavalletto, qualche pennello, qualche tubetto di colore,il mio portatile, lascerei tanto spazio libero e partirei per una vacanza a tappe nella Firenze della fine del ‘400, nella Roma del ’600, nella Parigi del primo ‘900, nella New York degli anni ’50 e ’60 e a Bologna nel 2011 ma con ancora tanto spazio libero nella valigia…
Antonio completerà proprio all’ombra dei portici bolognesi il ciclo di studi, mentre Bologna dispiega il suo cuore generoso lasciando che il destino faccia capolino con una donna che oggi è diventata moglie e silenziosa ispiratrice di una vita all’insegna dell’arte.
Antonio Marino oggi lavora come artista e insegnante: dal 2009 collabora con la Galleria Bongiovanni di Bologna e, sulle orme di un sogno che risale all’infanzia, ogni giorno cede alla passione dell’insegnamento percorrendo aule dove insegna a giovani menti la meravigliosa capacità di un’arte che prima di tutto è sentimento da percepire, sguardo da allenare, passione da coltivare a piccoli passi.
Tra gli eventi nazionali è possibile segnalare le sue partecipazioni ad ARTE FIERA 2010 e 2011, alle ultime due edizioni della Giornata del Contemporaneo, organizzata dall’Associazione Musei d’Arte Contemporanea Italiani nonché presso la Fiera Internazionale della Lettura e Letteratura per ragazzi 2010 con la personale Scriptorium.
Le tele di Marino raccontano un intreccio che vive di ombre dorate e volti che scrutano l’osservatore, intensi e travolgenti: un’intrigante rebus di storie che si materializzano lasciando che la lettura si compia, con lentezza e meditazione. ‘Nei miei quadri vi sono alcuni elementi che con il tempo sono divenuti imprescindibili (..) Personaggi che mi piace pensare come attori teatrali che rivolgono uno sguardo alla storia (intesa soprattutto come ricchezza iconografica della storia dell’arte) ma con una gran voglia di raccontare il presente. Una serie di lavori li ho dedicati all’identità, dove si vedono uomini lottare con un drappo rosso simbolo di una seconda pelle o di una maschera che spesso gli uomini si costruiscono per essere accettati dal prossimo e che rischia di generare identità formattate, resettando l’individualità. Il copione non è interpretato solo da gesti, posture, mimiche facciali e dalla composizione strutturale del lavoro nel suo complesso: le parole sono sovente rintracciabili tra le trame della tela, rivestite dagli strati di pittura o dalla foglia d’oro’, racconta l’artista.
Come si coniugano il fare arte e la professione dell’insegnante?
Per tanto tempo ho vissuto esclusivamente dipingendo, tuttavia anche il fare arte può essere un’attività decisamente stressante: i compromessi diventano materia inevitabile, invece da l momento in cui ho avuto la possibilità di insegnare e lavorare con ragazzi oltre a uno stipendio fisso mi è stato possibile fare progetti ulteriori, godere di una maggior libertà oltre che di una fertile tensione creativa.
Né sposarsi, né fare un altro lavoro’ usava ripeteva un gallerista di Bologna, ma il problema è che se devi farti tramite del mondo diventa necessario vivere l’esistenza, in ogni suo momento e ruolo, altrimenti sarei simile a uno scrittore che parla della vita senza viverla. La quotidianità è fondamentale: se non la vivi come puoi raccontarla? Credo sia importante mettersi in gioco, svegliarsi presto, fare la spesa.
Alle scuole elementari avevo una maestra (a cui non ero particolarmente simpatico forse per i miei momenti di distrazione con il disegno) che un giorno assegnò il seguente compito alla classe: cosa farai da grande? Sapevo che da grande avrei fatto l’artista e l’insegnante di arte! Da quel momento il mio percorso di studi fu improntato al raggiungimento di quegli obiettivi. Certamente devo ammettere che tutto avrei immaginato tranne che le fantasticherie dello scolaro di ieri su un futuro troppo lontano potessero rispecchiarsi così fedelmente nel mio presente.
Bologna e Reggio Calabria: cosa ti lega a queste due realtà?
Mi trovo spesso a riflettere su quel cordone ombelicale lungo 1200 chilometri che mi tiene legato a due diverse città: Reggio Calabria e Bologna, diciotto anni passati nella prima, diciotto nella seconda. Entrambe rappresentano due luoghi che amo molto e a cui devo la mia formazione sia umana, sia professionale. Reggio Calabria è la città degli affetti familiari, oltre ad essere la città che ha segnato la mia prima formazione, il modo di rapportarmi agli altri e il terreno, talvolta accidentato, dove è nato il mio amore per l’arte, la mia prima collaborazione con una galleria d’arte. Bologna invece con le sue secolari tradizioni culturali ha saputo conquistarmi: è la città degli anni della mia vita di studente-artista fuori sede, la città dove ho cominciato a lavorare come insegnante, dove ho incontrato mia moglie e dove da qualche anno è iniziata la collaborazione con la Galleria Bongiovanni, con la quale si è creata una sintonia totale.
Nelle tue tele ho notato la presenza della lingua Braille: come è avvenuto questo incontro?
La scrittura interagisce con l’immagine. Ho scelto il Braille per vari interessi, innanzitutto l’arte in quanto enigma, in virtù di un’arte facile alla comprensione ma non scontata. Anni fa vedevo gente che durante manifestazioni come la Biennale dedicava non oltre due minuti a ciascuna opera: una fruizione troppo veloce, a una vetrina si fanno più domande. Per questo desideravo un senso che promanasse, che trapelasse intrecciando arte e scrittura ma senza che una svelasse i percorsi dell’altra. La scrittura non spiega mai il significato del quadro ma fa parte del significato stesso. Pittura e letteratura si contaminano reciprocamente, avvalorando o sovvertendo significati apparentemente di facile interpretazione.
In Italia, rispetto ad realtà europee, non sembra essere granché consolidata l’abitudine di portare i bambini al museo: cosa ne pensi?
Noi possediamo circa il 60% delle opere al mondo ed è da sottolineare che questa statistica risale a prima delle vicende di guerra connesse all’Iraq. Abbiamo un patrimonio inestimabile, eppure i nostri musei sono vuoti, una realtà certamente desolante.
Che cosa vorresti avessero imparato i ragazzi una volta riemersi dalle tue lezioni?
Non sono un fissato del contenuto: seguire il programma non mi basta. A me interessa trasmettere il seme della curiosità, della passione per l’arte. I ragazzi non entrano praticamente mai di loro spontanea volontà in una galleria d’arte moderna, per questo mi piace organizzare dei pomeriggi all’insegna di una mostra da visitare tutti insieme, scambiandosi opinioni e idee. Molti ragazzi hanno genitori che producono opere d’arte, per questo chiedo loro di portare i manufatti in classe: trascorriamo una lezione commentandone lo stile e i materiali. Questo vuole essere un modo per farli innamorare della materia d’arte: in seguito se ne approprieranno e non con il tuo standard, bensì il loro. Con freschezza, con l’originalità che è propria dei ragazzi.
Quale destino credi incontrerà l’arte?
L’arte seguirà il destino della società, come è sempre stato. Oggi viviamo in una società che si confronta molto con il passato, è amante del presente e sembra essere poco interessata al futuro. Oggi i performers danno vita a un’arte fortemente imperniata su un’emozione, che tuttavia finisce velocemente, senza lasciare traccia. Lo stesso nome Arte Contemporanea prefigura il destino di un fare arte che non cita ciò che sarà domani a differenza di fenomeni artistici come le Avanguardie, la cui nomenclatura faceva riferimento alla prima linea dei militari, in avanzata verso nuovi territori, denunciando la strenua voglia di proiettarsi nel futuro.
Arte e tecnologia: come pensi si sviluppi questo rapporto?
La tecnologia oggi non può non toccare l’arte. Pittori, scrittori, musicisti: la tecnologia entra in ogni linguaggio. In certi casi rischia di risultare una materia fredda, ma difficilmente non verrà utilizzata per produrre lavori. La questione importante è che non sostituisca il rapporto tra artista e opera: devo confessare che il rapporto tra ciò che si vede e chi l’ha realizzato costituisce la reale poesia dell’arte ed è ciò che ancora oggi mi emoziona e mi arricchisce.
Un sogno che non hai ancora realizzato e che ti piacerebbe costruire entro i prossimi cinque anni.
Nonostante le tante polemiche che ad ogni edizione la precedono, la accompagnano e la seguono, la Biennale di Venezia per un giovane artista rimane sempre un traguardo affascinante cui sperare di essere invitato e non come spettatore…
Se tu avessi 20 anni faresti la valigia verso...?
Intanto nella valigia vorrei mettere tutte le esperienze umane e lavorative maturate fino ad oggi, poi aggiungerei un cavalletto, qualche pennello, qualche tubetto di colore,il mio portatile, lascerei tanto spazio libero e partirei per una vacanza a tappe nella Firenze della fine del ‘400, nella Roma del ’600, nella Parigi del primo ‘900, nella New York degli anni ’50 e ’60 e a Bologna nel 2011 ma con ancora tanto spazio libero nella valigia…
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E' vietato riprodurre anche piccole parti dell'intervista senza l'autorizzazione scritta dell'Editore.
Intervista: Maddalena De BernardiSoggetto: Antonio MarinoLuogo: Bologna
Foto: Filippo Lenzi
Web: www.marinopictor.com
Foto: Filippo Lenzi
Web: www.marinopictor.com
IN ALTO: INTERVISTA PUBBLICATA SULLA RIVISTA "ANDY" |
